Il TAR Bolzano con la sentenza n. 354/2016 affronta la delicata questione della cooptazione, ribadendo ruolo e dichiarazioni da presentare da parte del'impresa cooptata.
............L’istituto della cooptazione è disciplinato dall’art. 92, comma 5, del D.P.R. n. 207
del 2010, il quale così recita: “Se il singolo concorrente o i concorrenti che intendano riunirsi in
raggruppamento temporaneo hanno i requisiti di cui al presente articolo, possono raggruppare altre
imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da
quelli richiesti nel bando, a condizione
che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei
lavori e che l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari
all'importo dei lavori che saranno ad essa affidati”.
Le caratteristiche dell’istituto, ad avviso del Collegio, possono pertanto essere così
riassunte:
- l’impresa singola o ATI, definita dal legislatore “concorrente”, deve avere, di per
sé, tutti i requisiti generali e speciali necessari a concorrere;
- l’impresa cooptata, non definita dal legislatore “concorrente”, non deve avere tutti
i requisiti generali e, quanto ai requisiti speciali, può possedere una qualificazione
anche per categorie e classifiche diverse da quelle richieste dal bando; i lavori
“eseguiti” dall’impresa cooptata non devono superare il 20% dell’importo
complessivo dell’appalto; infine, l’impresa cooptata deve coprire con le classifiche
relative alle qualificazioni possedute l’intero importo dei lavori “che saranno affidati”.
La finalità dell’istituto è quella di consentire a imprese già qualificate nel settore dei
lavori pubblici, “prive dei requisiti di cui ai commi 2 e 3 dello stesso D.P.R. n. 207 del 2010”,
di partecipare alle gare, così maturando capacità tecniche in categorie di lavori
diverse rispetto a quelle per le quali le stesse siano già iscritte, a condizione che
l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute dall’impresa cooptata sia
almeno pari all’importo dei lavori da affidare alla medesima e che i lavori da eseguirsi
non superino il 20% dell’importo complessivo (cfr. Consiglio di Giustizia
amministrativa per la Regione Sicilia, 23 agosto 2016, n. 274; Consiglio di Stato, Sez.
V, 17 marzo 2014, n. 1327 e Sez. V, 10 settembre 2012, n. 4772).
L’istituto della cooptazione ha carattere eccezionale e derogatorio, non essendo
richiesto alle imprese cooptate di possedere tutti i requisiti prescritti per le imprese
facenti parte dei raggruppamenti di tipo orizzontale (come nel caso che ci occupa)
o verticale, rispettivamente dai commi 2 e 3 del citato art. 92, requisiti che, in ogni
caso devono essere tutti posseduti dalle imprese singole o facenti parte del
raggruppamento temporaneo. Dunque l’idoneità complessiva del concorrente è
garantita dal possesso dei requisiti da parte delle imprese singole o associate che già,
ex se, sarebbero in grado di partecipare alla gara, a cui, secondo la previsione del
legislatore, viene aggiunto un quid pluris, rappresentato dalle potenzialità, anche
minime o eterogenee delle imprese minori cooptate, che comunque non può che
aumentare la potenzialità complessiva del soggetto partecipante.
Proprio alla luce di tali differenze e del carattere derogatorio e speciale dell’istituto
e al fine di evitare che un uso improprio consenta l'elusione della disciplina
inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza
pubblica, la scelta di associare un’impresa cooptata non può prescindere da una
chiara, espressa ed inequivoca dichiarazione in tal senso da parte del concorrente, in
assenza della quale l’indicazione di un’altra impresa deve essere sempre ricondotta
alla figura generale dell’associazione temporanea (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 29
gennaio 2015, n. 83 e Consiglio di Stato, Sez. V, 27 agosto 2013, n. 4277).
Sempre in ragione del carattere speciale dell’istituto della cooptazione, l’Autorità
Nazionale Anticorruzione, nella propria determinazione n. 4 del 10 ottobre 2012,
ha chiarito che “l’impresa cooptata può eseguire i lavori, ma non assume lo status di concorrente;
essa, di conseguenza, non può acquistare alcuna quota di partecipazione all'appalto e, quindi, non
deve (e, in realtà, neppure può) dichiarare la propria quota di partecipazione al raggruppamento
temporaneo” (cfr. punto 7.1.1 della suddetta determinazione).
Anche l’orientamento della giurisprudenza, da alcuni anni prevalente e al quale il
Collegio aderisce, ha affermato che “il soggetto cooptato non acquista lo status di concorrente,
né assume quote di partecipazione all’appalto, non riveste la posizione di offerente (prima) e
contraente (dopo) e non presta garanzie; infine non può né subappaltare, né comunque affidare a
terzi la propria quota dei lavori” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1492;
nello stesso senso, Cons. Giust. Amm. Sic., 23 agosto 2016, n. 274; Consiglio di
Stato, Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1327; Sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344; Sez. V, 27
agosto 2013, n. 4278; TAR del Lazio, Roma, Sez. I, 16 giugno 2016, n. 6922; TAR
Catanzaro, 23 marzo 2015, n. 554554; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 12 marzo 2015,
n. 780; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 5 dicembre 2014, n. 12288). In particolare, la
giurisprudenza ha precisato che l’art. 92, comma 5, del citato D.P.R. n. 163 del 2006
permette a soggetti privi dei requisiti di qualificazione di partecipare alla fase di
esecuzione di appalti pubblici di lavori, a determinate condizioni. La norma, tuttavia,
non può essere interpretata estensivamente: le imprese cooptate possiedono, infatti,
diritti e obblighi ridotti e limitati rispetto a un normale concorrente (sia esso singolo,
sia in forma associata). Dunque la cooptazione non può essere uno strumento per
partecipare a una gara senza avere i prescritti requisiti: il soggetto cooptato non può
acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto, né prestare garanzie, al pari di
un concorrente, né in alcun modo, subappaltare o affidare a terzi una quota dei
lavori da eseguire. Diversamente, il soggetto cooptato deve essere considerato alla
stregua di un membro di un raggruppamento temporaneo di imprese (cfr. Consiglio
di Stato, Sez. V, 27 agosto 2013, n. 4278).
Così inquadrato l’istituto della cooptazione e tornando al thema decidendum, il Collegio
ritiene che la prescrizione contenuta nel punto 5.3, numero 1.4, lett.c), del bando
integrale di gara si ponga in aperto contrasto con il citato art. 92, comma 5, del
D.P.R. n. 207 del 2010 e con il carattere e la disciplina dell’istituto come sopra
descritto.
Invero, la clausola citata impone alle imprese cooptate di partecipare alla gara “nel
rispetto delle modalità richieste alle imprese che compongono un raggruppamento…”, cioè
richiede a dette imprese di presentare e sottoscrivere tutta la documentazione
amministrativa, quella a corredo e quella relativa ai requisiti generali, al pari delle
imprese che formano il raggruppamento temporaneo, “con la sola eventuale
eccezione…dell’intestazione della cauzione”, costringendo le imprese cooptate a rivestire
la parte di offerente (essendo tenute a sottoscrivere la domanda di ammissione e
l’offerta), assumendo la veste di partecipanti al raggruppamento temporaneo.
In altre parole, mentre il comma 5 del citato art. 92, impone alle imprese cooptanti
il solo obbligo della qualificazione nella misura pari all’importo dei lavori che
saranno loro affidati e il solo limite percentuale delle opere da eseguire, alla luce del
carattere derogatorio dell’istituto, il bando impugnato costringe, invece, le imprese
cooptate a dimostrare l’esistenza dei requisiti generali (non richiesti dal citato
comma 5 dell’art. 92), ingenerando così confusione tra la figura dell’impresa
cooptata e quella di impresa facente parte del raggruppamento temporaneo ai sensi
dei commi 2 e 3 dello stesso art. 92. Come già sottolineato, il raggruppamento
temporaneo e la cooptazione sono due istituti diversi per chiara volontà del
legislatore: al raggruppamento cooptante viene richiesto di possedere tutti i requisiti
per partecipare alla gara, mentre all’impresa cooptante solo i requisiti di
qualificazione “anche per categorie e importi diversi da quelli richiesti nel bando”. Non è
perciò consentito effettuare una commistione tra i due istituti: se, come nel caso in
esame, il bando richiede anche all’impresa cooptata di sottoscrivere gli atti di gara,
non si comprende infatti che differenza ci sia tra un’impresa mandante e un’impresa
cooptata.
Il legislatore, definendo “concorrente” solo l’impresa singola o in raggruppamento
temporaneo intende distinguere chiaramente il ruolo dell’impresa mandante da
quello dell’impresa cooptata. Per quest’ultima impresa il legislatore ha riservato un
ruolo nella sola fase esecutiva della gara, coerentemente con la finalità dell’istituto,
al di fuori del vincolo associativo di partecipazione.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, l’obbligo di dimostrare il
possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 163 del 2006
non può essere legittimamente esteso dal bando anche alle imprese cooptate, perché
in aperto contrasto con l’art. 92, comma 5, dello stesso decreto, che è norma di
carattere eccezionale, come più volte sottolineato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 6
maggio 2013, n. 2449 e Sez. III, 14 novembre 2012, n. 5758).
La richiesta all’impresa cooptata di dimostrare il possesso di requisiti diversi da quelli
prescritti dal comma 5 dell’art. 92 contrasta con il disposto e con la ratio della norma,
fino a vanificarne la portata, posto che si traduce nella richiesta di requisiti che
debbono essere posseduti dall’impresa mandataria e dalle imprese mandanti di un
raggruppamento temporaneo orizzontale.
Per dimostrare la confusione e commistione tra istituti che una clausola come quella
impugnata può ingenerare nei concorrenti è sufficiente esaminare l’atto costitutivo
del raggruppamento Astaldi e l’offerta presentata dallo stesso nella gara sub iudice...............