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26/04/2015: L'OMICIDIO COLPOSO NON NECESSARIAMENTE IMPLICA LA MORALITA’ PROFESSIONALE

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Il TAR Sicilia, Palermo, con sentenza n. 3331, del 16 Dicembre 2014, si è resa innovativa per aver sancito la illegittimità della revoca dell’aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante per aver accertato che l’aggiudicatario non aveva dichiarato di esser stato condannato per omicidio colposo. La novità della pronuncia sta nell’affermazione di un principio in apparente controtendenza rispetto alla giurisprudenza amministrativa prevalente: la dichiarazione non veritiera del concorrente circa i propri precedenti penali, anche se idonea a ledere il vincolo fiduciario con il committente pubblico, può rilevare quale fattore ostativo all’affidamento solo se concernente “reati gravi in danno allo Stato o alla Comunità che incidono sulla moralità professionale”.

 E ciò non si rileverebbe nel caso in giudizio poichè, secondo il TAR Sicilia, il reato di omicidio colposo non dichiarato in gara non vulnera un bene giuridico di diretta pertinenza dello Stato o dell’Unione Europea, né incide sulla moralità professionale del concorrente, con la conseguenza che la mancata menzione di tale reato nella domanda di partecipazione è priva di rilievo ai fini dell’esclusione dalla gara ovvero ai fini della revoca dell’aggiudicazione.
Il Tar Sicilia si ricollega, come fonte normativa scaturente la decisione in parola, all’art. 39 del d.l. n. 90/2014, che ha segnato un progressivo allontanamento del legislatore da una dimensione formalistica delle valutazioni che devono essere operate dalle stazioni appaltanti, testimoniando una tendenza decisamente orientata a privilegiare l’esame dell’effettivo contenuto sostanziale delle dichiarazioni dei concorrenti: nella fattispecie, si è ritenuto di poter fare applicazione della norma citata, da un lato osservando che l’entrata in vigore della novella legislativa è sì successiva alla deliberazione e alla pubblicazione nelle forme di legge della procedura di gara, ma anteriore all’atto impugnato; dall’altro lato, affermando che in una materia quale quella degli appalti pubblici le norme sopravvenute fungono da criterio interpretativo anche della legislazione previgente, specie nel caso di gare ancora in corso.
In realtà, la normativa sul punto sembrava essere chiara: ai sensi dell’art. 38, co. 2 del d.lgs. n. 163/2006, il concorrente nella dichiarazione sostitutiva deve indicare tutte le condanne penali riportate, determinandosi così l’esclusione dalla gara in caso di autodichiarazioni non veritiere in ordine alle condanne penali, poiché la verifica circa la gravità dei reati e la loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante (da ultimo CdS n. 1771/2014).
Ai fini dell’esclusione dalla gara non è quindi sufficiente l’accertamento dell’esistenza di una condanna penale, poiché il dettato normativo è volto a richiedere una valutazione concreta, da parte dell’amministrazione, per la verifica, attraverso un apprezzamento discrezionale che deve essere adeguatamente motivato, dell’incidenza di tale condanna sul vincolo fiduciario contrattuale, senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto, per implicito, attraverso il semplice richiamo alla fattispecie di reato.

Danilo Esposito