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06/02/2017: L'ANAC PROPONE MODIFICHE AL RATING



Proposta di modifica degli articoli 83, comma 10, 84, comma 4 e 95, comma 13, del Decreto Legislativo 18 aprile
2016, n. 50

       
  1. Finalità  dell’istituto e ambito di applicazione
L’Autorità  condivide i principi e le finalità sottese all’introduzione del rating di  impresa ritenendo l’istituto un elemento idoneo a innescare
un opportuno  processo di trasformazione del mercato dei contratti pubblici, in un ottica di  efficientamento del sistema e di promozione della qualità degli operatori  economici, come in premessa più ampiamente illustrato. L’istituto del rating è,  infatti, finalizzato a valutare, promuovere e valorizzare la performance  contrattuale degli operatori economici e la correttezza in fase di esecuzione,  prevenendo così il rischio di cattiva esecuzione, con l’effetto di un  tendenziale innalzamento della qualità e dell’efficienza del mercato dei  contratti pubblici, in linea con i principi generali di cui all’art. 30, co. 1,  del Codice.

Si tratta di  una svolta epocale per la contrattualistica pubblica idonea a porre l’Italia nella  condizione potenziale di sviluppare una best practice, cui potrebbero ispirarsi  i sistemi di acquisto di altri paesi europei. Infatti, la qualità della performance  contrattuale, nell’intuizione del legislatore, si affianca ai requisiti di  carattere generale e tecnico, economico e organizzativo come quarto elemento da  soppesare ai fini dell’accesso alla gara (ma l’ambito di attività potrebbe  essere più ampio, come in seguito si spiegherà), quale elemento indispensabile  per una reale garanzia di affidabilità dell’operatore economico.

A fronte di tale  condivisibile obiettivo, il lavoro svolto dall’Autorità - successivamente  all’emanazione del Codice - ha evidenziato la necessità di diversi interventi  di chiarimento, da una parte, e di correzione, dall’altra, al fine di  consentire l’effettiva implementazione dell’istituto in perfetta coerenza con  la sua precipua natura e la sua ratio.
Rileva  innanzitutto segnalare che il collegamento dell’istituto del rating di impresa  all’accesso alla gara, soltanto per la qualificazione dei lavori, come sembra  emergere dal dato letterale dell’art. 83, co. 10, del Codice e da una lettura  sistematica della stessa, in combinato disposto con l’art. 84, co. 4, costituisce,  ad avviso dell’Autorità, una limitazione irragionevole del suo impiego in  considerazione delle dimensioni dei mercati dei servizi e delle forniture e  delle numerose criticità riscontrate nel tempo proprio in ordine alla qualità  esecutiva dei relativi affidamenti. Sotto questo profilo occorrerebbe, quindi,  rivedere il testo dell’art. 83, co. 10 e, nel contempo, introdurre una norma  speculare a quella contenuta nell’art. 84, co. 4, relativamente ai servizi e  alle forniture, al fine di tener conto del rating di impresa anche nella  qualificazione in gara, come noto, prevista in tali due settori del public  procurement.
A differenza  di quanto previsto nella legge delega (art. 1, co. 1, lett. uu), legge n.  11/2016), che fa esclusivamente menzione di “misure di premialità”, l’art. 83, co. 10, del Codice, prevede che il rating di impresa sia  basato su un sistema di “penalità e  premialità”. In disparte ogni considerazione in ordine alla coerenza tra il  decreto delegato e la legge delega, ciò che rileva nell’economia della presente  segnalazione è evidenziare come un sistema di past performance che sia basato  esclusivamente su misure di premialità dovrebbe essere per tale ragione su base  volontaria. Viceversa, un sistema che contempla penalità deve necessariamente  essere obbligatorio, in quanto nessuno chiederebbe una valutazione che possa  penalizzarlo.
Sotto tale profilo il quadro  normativo di riferimento non fornisce elementi chiari nel senso della volontarietà,  anzi una lettura a sistema delle disposizioni già richiamate, soprattutto avuto  riguardo all’art. 84, co. 4, del Codice, sembrerebbe far propendere per  l’obbligatorietà dell’istituto.

Ciò, peraltro, inserendosi in  un sistema, quello di qualificazione nei lavori, basato su elementi certi e  determinati, che già di per sé producono l’effetto di accedere a determinate  categorie e classifiche, farebbe funzionare il rating di impresa solo in un  numero limitato di casi, come incremento convenzionale premiante. Inoltre,  prevedendo che sia la Società Organismo di Attestazione (SOA) ad attestare, tra  gli altri elementi, il rating di impresa, rischia di escludere una cospicua  quota di mercato, quella al di sotto della soglia di operatività del sistema di  qualificazione dei lavori mediante le SOA (contratti di importo inferiori a  150.00 euro).

Coerentemente con la tecnica  della premialità, invece, l’accesso al sistema del rating di impresa dovrebbe  essere disciplinato - sgomberando in tal senso il campo da qualsiasi equivoco -  su base volontaria, il che, peraltro,   consentirebbe un suo più consono ed efficace utilizzo in ambiti  operativi diversi dal sistema di qualificazione o, più genericamente inteso,  dall’accesso alla procedura di affidamento. A tal proposito si ritiene  opportuno segnalare che il rating di impresa, così come descritto dalla vigente  normativa, vale a dire costruito su un sistema di premialità (e penalità) da  applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, rischia di  risolversi in un notevole aggravio burocratico per le imprese, le stazioni  appaltanti e, in ultima analisi, l’Autorità, tenute alla gestione e alla comunicazione  di una serie di dati rilevanti, con limitati effetti incentivanti al miglioramento  delle performance se si considera che al meccanismo dell’incremento  convenzionale premiante delle classifiche cui la singola impresa può aspirare  in base ai requisiti strutturali posseduti non può riconoscersi una forza  propulsiva sufficiente a far evolvere il sistema.
Una diversa disciplina del rating  di impresa, costruito su base volontaria, riferito espressamente ai tre settori  (lavori, servizi e forniture), potrebbe far propendere per il suo utilizzo in  sede di offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto  qualità/prezzo, includendolo tra gli elementi già menzionati dall’art. 95, co.  13, del Codice, in luogo del rating di legalità.
Quest’ultimo, infatti, non  solo non può ritenersi proprio pertinente con il mercato degli appalti pubblici  - in cui, peraltro, l’affidabilità morale è già ampiamente garantita dalle  previsioni dell’art. 80 del Codice dei contratti - ma rischia di creare  problemi di compatibilità con il diritto dell’Unione in tema di appalti, se si  considera che l’unica apertura che la direttiva ammette in ordine  all’inserimento di requisiti soggettivi dell’offerente in seno agli elementi  oggettivi di valutazione dell’offerta riguarda organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale incaricato di  eseguire l’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere  un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto (art. 67, par  2, lett. b), della direttiva 2014/24/UE). Avuto riguardo alla novella normativa  introdotta dalla direttiva sul punto, appare molto più coerente, sotto il  profilo dell’esperienza, dare rilievo al rating di impresa e non a quello di  legalità in sede di offerta economicamente più vantaggiosa.
In ogni caso anche il  coordinamento dei due diversi istituti (rating di impresa e rating di legalità)  necessita di un correttivo nel rispetto di quanto prescrive la legge delega.  Quest’ultima, infatti, all’art. 1, co. 1 lett. uu), impone al legislatore  delegato solo di tenere in considerazione il rating di legalità nella revisione  del sistema di qualificazione e non anche, come di converso stabilito dall’art.  83, co. 10, di rendere il rating di legalità un indicatore del rating di  impresa. Ciò soprattutto tenuto conto del fatto che l’opzione prescelta dal  legislatore delegato pone un problema di sovrapposizione tra elementi  (richiamati nel rating di legalità) che già sono presi in considerazione da  specifiche norme (v. art. 80 del Codice) ai fini dell’accesso alla gara. A ciò  si aggiunga, inoltre, l’innegabile limitazione che origina dalla volontarietà  del rating di legalità e dalla sua circoscrizione alle imprese italiane e  europee con sede in Italia aventi un fatturato minimo di due milioni di euro  annui ed iscrizione alla camera di commercio da almeno due anni. Mentre l’utilizzo  del rating di legalità non pone problemi nel caso della qualificazione per  classifiche per le quali è necessario un fatturato superiore a due milioni di  euro, l’utilizzo del rating di legalità per finalità diverse e ulteriori  rispetto a quelle per cui è stato istituito impone necessariamente l’introduzione  di misure correttive per non svantaggiare i soggetti che non possono avere  accesso allo stesso.

       
  1. Gli  elementi costitutivi del rating di impresa
La norma parla  di un sistema di indicatori che misurino la qualità della performance  contrattuale mediante indici “qualitativi e quantitativi, oggettivi e  misurabili” tali da esprimere la capacità strutturale dell’operatore economico  e la sua affidabilità. La criticità è quella di individuare indicatori che:
       
  • operino in maniera automatica, così da evitare  spazi di discrezionalità e il connesso rischio di aumento del contenzioso;
  •    
  • non siano già utilizzati ad altri  fini (di qualificazione/esclusione, di aggiudicazione, ovvero per la  costruzione del rating di legalità).
Qualora si  condivida questa impostazione, sia nel caso si utilizzi il rating di impresa ai  fini della qualificazione sia nel caso che lo stesso venga considerato come  elemento premiante per la valutazione dell’offerta – mutando, come richiesto, in  tal senso la norma –, dal testo dell’art. 83, co. 10, del Codice andrebbero  espunti tutti quegli elementi spuri, quali il riferimento alla capacità  strutturale delle imprese (già oggetto di valutazione in sede di qualificazione,  che, peraltro, presta il fianco a trattamenti discriminatori per determinate  imprese, avuto riguardo ai diversi modelli adottati e alle differenti strutture  possedute), e quello al rating di legalità (ciò che implica l’ingresso nel rating  di impresa di elementi soggettivi attinenti alla valutazione della moralità che  coincidono sostanzialmente con quelli di cui all’art. 80).
Per converso,  andrebbe, invece, individuato un sistema che consenta di prendere in considerazione  l’esperienza passata degli operatori economici già presenti sul mercato. La  normativa vigente, infatti, in assenza di specificazioni al riguardo, induce a  ritenere che la misurazione della performance debba avvenire con riferimento ai  contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del Codice,  in quanto non si potrebbe differenziare il trattamento degli operatori  economici sulla base di elementi che il quadro normativo vigente al momento  dell’esecuzione o non prendeva in considerazione o stimava ad altri fini. Ciò  con l’inevitabile risvolto di un azzeramento della storia professionale delle  imprese che, in tal modo, ai fini del calcolo del rating verrebbero a trovarsi  in una situazione di neutralità all’avvio del sistema. Né, d’altra parte,  sarebbe ipotizzabile introdurre con le sole linee guida dell’Autorità una  diversa disciplina in grado di tener conto della descritta esigenza, in assenza  di chiara e definita indicazione nella fonte di rango primario. In tale  prospettiva, nell’attribuire un punteggio per la storia pregressa, si potrebbe  ipotizzare di attribuire rilievo positivo all’assenza di elementi con valore  penalizzante per il futuro (es. assenza di contenzioso meramente pretestuoso,  di risoluzioni contrattuali per inadempimento, di penali oltre una certa  soglia, ecc.).
Sotto un diverso profilo  non è chiaro il riferimento al potere sanzionatorio dell’ANAC nei casi di  omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive  da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese  subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi. L’ANAC  già annota tali fattispecie ai fini della valutazione della moralità delle  imprese, rappresentando le stesse una possibile causa di esclusione per grave  illecito professionale, ai sensi dell’art. 80, co. 5, lett. l), del Codice. Poiché  l’omessa o tardiva denuncia costituisce già una possibile causa di esclusione,  per le ragioni sopra indicate, la stessa non dovrebbe essere inclusa nel rating  di impresa. Peraltro, non si può sottacere che la norma sembra introdurre un  nuovo potere sanzionatorio in capo all’Autorità, senza definire la tipologia  delle sanzioni e i limiti edittali delle stesse.

       
  1. Proposta  di correttivi alla disciplina del Codice
Alla luce delle  considerazioni svolte – emerse nei molteplici tavoli di confronto, rappresentati  da numerosi attori del mercato dei contratti pubblici e dagli approfondimenti condotti  -, tenuto conto anche dell’esigenza di evitare qualunque possibile distonia con  il divieto di gold plating, l’Autorità ritiene che l’attuale quadro normativo  non consenta la costruzione di un sistema di rating d’impresa di semplice e  certa applicazione, coerente con la ratio dell’istituto - così come essa è  desumibile anche dal pertinente principio della legge delega -  e capace di incrementare il tasso di  efficienza del mercato dei contratti pubblici, garantendo qualità delle  prestazioni, rispetto dei tempi e dei costi, in fase esecutiva.
L’Autorità,  pertanto, esprime piena convinzione che un sistema di rating d’impresa come  quello attualmente disciplinato debba essere rivisto in considerazione:
       
  • sia dell’attuale esclusivo  collegamento di quest’ultimo alla qualificazione, in luogo del più opportuno  suo inserimento tra gli elementi di valutazione dell’offerta qualitativa;
  •    
  • sia della sua strutturazione,  basata su elementi che non possono essere ritenuti, in alcuni casi,  chiari indici di past performance, e che,  peraltro, recano con sé un aggravio di oneri amministrativi e burocratici al  sistema nel suo complesso (imprese, amministrazioni e Autorità);
  •    
  • sia della necessità di coordinarlo  correttamente con il diverso istituto del rating di legalità, che presenta  precisi limiti soggettivi ed oggettivi di applicazione.
Indeclinabile si  appalesa l’esigenza – anche nel caso di mantenimento dell’attuale opzione di collegamento  dell’istituto con la qualificazione degli operatori economici (che deve essere,  in ogni caso chiarito nei termini sopra ampiamente illustrati) – di rivedere  gli indicatori costitutivi del rating di impresa avendo come obiettivo di  individuarne pochi, facilmente misurabili, oggettivi ed effettivamente  espressivi della past performance dell’impresa esecutrice.