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16/06/2017: ADUNANZA PLENARIA DEL 21 GIUGNO 2017

Il prossimo 21 giugno l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato tratterà le questioni:

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1) se, nella vigenza dell’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenuta ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivata in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza – sia pure solo a fini interpretativi – dell’ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato.
La questione è stata rimessa dalla IV sez. con ordinanza 19 aprile 2017, n. 1830.



In giurisprudenza si contrappongono due diversi orientamenti.
Un primo, più recente orientamento (Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341), con riferimento ad un provvedimento di annullamento in autotutela di una concessione in sanatoria, e rispetto alla formulazione dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, nel testo modificato dalla l. n. 15 del 2005, ha affermato che il potere di annullamento ha un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) e due presupposti riferiti a concetti indeterminati, affidati all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione (la ragionevolezza del termine di adozione dell’atto; la sussistenza dell’interesse pubblico alla sua rimozione unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari). Ha quindi ritenuto necessaria una motivazione in ordine all’apprezzamento degli interessi dei destinatari dell’atto in relazione alla pregnanza e preminenza dell’interesse pubblico alla eliminazione d’ufficio di un titolo illegittimo; tanto più, in presenza di un provvedimento, come quello in materia edilizia, destinato ad esaurirsi con l’adozione dell’atto permissivo, dove assume maggiore rilevanza l’interesse dei privati destinatari dell’atto ampliativo e minore rilevanza quello pubblico all’eliminazione di effetti che si sono prodotti in via definitiva. Con l’ulteriore corollario che l’interesse pubblico alla rimozione attuale dell’atto non può coincidere con l’esigenza del mero ripristino della legalità violata e deve essere integrato da ragioni differenti.
L’orientamento maggioritario ha invece affermato che il provvedimento di annullamento di una concessione edilizia illegittima è in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, atteso che il rilascio del titolo edilizio comporta la sussistenza di una permanente situazione contra legem e di conseguenza ingenera nell’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo la concessione illegittimamente assentita (Cons. St., sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3660; id., sez. V, 8 novembre 2012, n. 5691). Ciò soprattutto quando l’illegittimità è dipesa dalle prospettazioni non veritiere del privato. La motivazione sulla comparazione degli interessi è stata ritenuta necessaria quando l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all’amministrazione (n. 5691 del 2012 cit.). In particolare, in fattispecie nelle quali era applicabile il 21 nonies, cit. si è ritenuto che, se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.





2) se l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo debba essere congruamente motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio. 
La questione è stata rimessa dalla VI sez. con ordinanza 24 marzo 2017, n. 1337.



La necessità di adire l’Alto Consesso è sorta per la presenza di due orientamenti giurisprudenziali.
Secondo il primo maggioritario orientamento l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo è legittimamente adottata senza alcuna particolare motivazione e indipendentemente dal lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso, dovendosi escludere in radice ogni legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al di lui avente causa (Cons.St., sez. VI, 10 maggio 2016, n. 1774; id. 11 dicembre 2013, n. 5943; id. 23 ottobre 2015, n. 4880; id., sez. V, 11 luglio 2014, n. 4892; id., sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592). Ammettere la sostanziale estinzione di un abuso edilizio per decorso del tempo significherebbe configurare una sorta di sanatoria extra ordinem, di fatto, che potrebbe operare anche quando l’interessato non abbia inteso (o potuto) avvalersi del corrispondente istituto legislativamente previsto (Cons.St., sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13).
Un secondo orientamento (Cons.St., sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 1016) individua “casi-limite in cui può pervenirsi a considerazioni parzialmente difformi” (Cons.St., sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3933): considerazioni che fanno leva sul lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso (o della sua conoscenza da parte dell’Amministrazione: Cons.St., sez. V, 9 settembre 2013, n. 4470, in un caso peraltro in cui la buona fede è stata esclusa), sulla buona fede del soggetto destinatario dell’ordinanza di demolizione diverso dal responsabile dell’abuso e sull’assenza, per mezzo del trasferimento del bene, di un intento volto a eludere la comminatoria del provvedimento sanzionatorio (in tal senso, anche Cons.St., sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2512; id., sez. V, 15 luglio 2013, n. 3847).





3) se a) ai sensi dell’art. 76, comma 11, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, debba affermarsi il principio per il quale, in mancanza dell’attivazione del procedimento ivi contemplato (nuova richiesta di attestazione SOA), la cessione del ramo d’azienda comporti sempre, in virtù dell’effetto traslativo, il venir meno della qualificazione, o piuttosto, se debba prevalere la tesi che alla luce di una valutazione in concreto limita le fattispecie di cessione, contemplate dalla disposizione, solo a quelle che, in quanto suscettibili di dare vita ad un nuovo soggetto e di sostanziarne la sua qualificazione, presuppongono che il cessionario se ne sia definitivamente spogliato, ed invece esclude le diverse fattispecie di cessione di parti del compendio aziendale, le quali, ancorché qualificate dalle parti come trasferimento di “rami aziendali”, si riferiscano, in concreto, a porzioni prive di autonomia funzionale e risultano pertanto inidonee a consentire al soggetto cedente di ottenere la qualificazione; b) l’accertamento effettuato dalla SOA, su richiesta o in sede di verifica periodica, valga sempre e solo per il futuro, oppure se, nei casi in cui l’organismo SOA accerti ex post il mantenimento dei requisiti speciali in capo al cedente, nonostante l’avvenuta cessione di una parte del compendio aziendale, l’attestazione possa anche valere ai fini della conservazione della qualificazione senza soluzione di continuità.
La questione è stata rimessa dalla III sez. con ordinanza 13 marzo 2017, n. 1152.



La Sezione ha dato atto dei contrasti giurisprudenziali insorti in ordine all’effetto della cessione di un ramo di azienda sui requisiti di qualificazione.
Una parte della giurisprudenza (Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, nn. 811, 812 e 813) ha affermato che, in mancanza dell’attivazione del procedimento previsto dall’art. 76, comma 11, d.P.R. n. 207 del 2010, la cessione del ramo d’azienda comporta, in virtù dell’effetto traslativo, il venir meno della qualificazione.
Altra parte della giurisprudenza (Cons. St., sez. V, 18 ottobre 2016, nn. 4347 e 4348) - alla quale ha aderito la Sezione remittente - ha invece sostenuto che non merita condivisione la tesi secondo la quale ogni trasferimento di ramo aziendale comporta comunque, anche se il cedente non perde la consistenza che gli ha consentito di ottenere le attestazioni SOA, l’automatica decadenza dalla loro titolarità.
La Sezione ha rimesso all’Adunanza Plenaria, anche la questione se, ai fini della conservazione della qualificazione SOA, possa assumere rilevanza l’attestazione successiva con cui l’organismo SOA accerti che, anche in seguito alla cessione di una parte del compendio aziendale, l’impresa cedente mantenga tutti i prescritti requisiti.
Anche in questo caso il rinvio all’Ato Consesso è giustificato dal contrasto giurisprudenziale registratosi sul punto.
Al riguardo, una parte della giurisprudenza (Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, nn. 811, 812 e 813) – non condivisa dalla Sezione remittente – ha sostenuto che, in caso di cessione di un ramo d’azienda, né il cedente né il cessionario potrebbero avvalersi della qualificazione posseduta dall’azienda ceduta, pur potendo richiederne una nuova. Ne deriverebbe la conseguenza che l’accertamento effettuato dalla SOA potrebbe valere solo per il futuro, senza alcuna idoneità “sanante” della perdita dell’attestazione, derivante automaticamente dalla cessione.


4) se il mezzo col quale l’appellante incidentale – dopo aver in primo grado affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa – deduce invece oggi che la controversia all’esame è devoluta alla giurisdizione del giudice civile è da ritenere ammissibile.
La questione è stata rimessa dal C.g.a. con ordinanza 22 ottobre 2015, n. 634.